CHE COSA E’ IL MONDO? È enorme il mistero dell’Infinito, ma è enorme anche il naso del signor Petronio. Dicono che in origine non era così, che lo trasformò una malattia; e certo chi lo veda, quel naso, la prima volta, pensa subito a una di quelle conflagrazioni di sostanze misteriose e recondite, a una di quelle eruzioni vulcaniche o a uno di quei terremoti per cui una bella montagna andò sottosopra e rimase tutt’un disordine di lavine e rocce, anfratti e magagne, precipizi e rupi; non senza le tracce che in tali rovesci lascian gli uragani e vi rinnovan le tempeste. (Fuori di similitudine, l’uragano o la tempesta potrebbe essere il vin buono!). Ma errerebbe chi non avendo mai visto il signor Petronio lo immaginasse, dalla descrizione del suo naso, un brutto vecchio. Tutt’altro! è simpatico. La persona alta e ben proporzionata serba ancora, oltre ai settant’anni, vigoria e salute; la perfetta canizie dei capelli, delle ciglia e dei baffi mitiga il rosso della carnagione e la vastità delle orecchie; e soprattutto piacciono la pacatezza del suo parlare, indizio di animo onesto e il sorriso dei suoi piccoli occhi, indizio di sicura fede. Qual fede? In sè stesso: la fede più consolante e più invidiabile. Mentre sul mercato il signor Petronio passa per sensale in granaglie, nella vita intima e tra gli amici discorre da filosofo che sa di non errare, sapiente. E sì che egli non sa nè leggere nè scrivere! Pare un miracolo; eppure durante mezzo secolo ha potuto commerciare in granoturco, riso e fagiuoli, restando galantuomo, sebbene analfabeta, e avanzandosi dei soldi. Quanto alla filosofia, il suo difetto d’istruzione o non è difetto o è lacuna che si ripara con altro mezzo. Perchè si noti anche questo: chi legge ubbidisce più o meno a chi ha scritto; chi va a scuola ubbidisce al professore. E credete voi che tutti quelli che tengon la penna in mano abbiano giudizio? Eh!, buon senso ci vuole! Il buon senso è il rimedio del signor Petronio, è la forza della filosofia; e se qualche filosofo non lo crede, poco importa: lo crede lui, e basta; appunto perchè lui non sa nè leggere nè scrivere e la pensa a modo suo. Naturalmente a chi scorge chiara, chiarissima ogni cosa nel mondo e ogni faccenda dell’universo, talvolta rincresce gli manchi il più acconcio mezzo di persuader gli altri, che san leggere: il signor Petronio ha chi lo ascolta e l’approva ma, purtroppo, solo al caffè, non in Parlamento, non in Senato, non al Ministero, non alle corti di Europa, non agli imperi d’Oriente e alle repubbliche d’America, non a casa del diavolo laggiù, al Transvaal o in China. E ripete con desolata invidia: — Che fortuna saper di lettere! — Si consola però subito. — Io non ne so e ci rimedio: col buon senso. Così, quando al caffè ode leggere dagli amici il giornale e ode i commenti alle notizie politiche e alle miserie pubbliche, si riconforta, si libera a giusto interprete di quel foglio stampato con inesplicabili caratteri, e la sua stessa deficienza gli sembra una conseguenza logica della sua filosofia e della legge che la sostiene: egli, cioè, non comprende un’acca del giornale e comprende tutto l’universo, al contrario di chi guarda al sole e non vede più nulla. O come a dire: i giornalisti, i letterati, gli scienziati scrivono quel che sanno e (salvo il rispetto) non sanno quel che scrivono; e i governanti pretendono di condurre per la strada diritta e non s’accorgono che girano in tondo! In tondo girano; in tondo giriamo: è la legge! Infatti: oggi corre innanzi un uomo o un popolo, e domani un altro; finchè il primo torna a precedere. Oggi a me, domani a te. — Il figlio del dottore farà lo spazzacamino, e il figlio dello spazzacamino sarà dottore. — Sempre non è seren, sempre non piove. — L’uomo crea e l’uomo distrugge. — Progresso, eppoi regresso. — Tutto è equilibrio; tutto è armonia; tutto su e giù. — E la conclusione sta nell’unico principio in cui riposa il sistema del signor Petronio: — Il mondo è una ruota che prilla! — Ecco tutto! Direte che non è una concezione nuova. Grazie tante!; essa raccoglie le dottrine di Pitagora, quel delle sfere in musica, e di Galileo, quel del pendolo; le dottrine di Newton, quello a cui cadde la mela sul naso, e di Darwin, quello dell’evoluzione e delle azioni e reazioni per cui da una scimmia balzò fuori l’umanità. Ma prima di tutto, se non è originale il sistema, è originale il signor Petronio, che nessuno potrà mai incolpare d’aver copiati quei gran filosofi. In secondo luogo, quanti secoli saranno che morì Pitagora? Mettiamo venti, trenta secoli. Ebbene, se dopo trenta secoli, al giorno d’oggi, il signor Petronio la pensa press’a poco come il gran Pitagora, ecco la più bella prova che il mondo è proprio una ruota che gira. In terzo luogo, sia di Tizio, sia di Sempronio o del signor Petronio, questo sistema è il più semplice, il più intelligibile, il più spiccio per risolvere tutti i problemi fisici, morali, economici, sociali, politici. Il cielo è tondo, il sole è tondo, la luna è tonda; dunque la terra deve esser tonda. È la legge! Le stagioni da un pezzo in qua non combinan fra loro? Dunque presto torneremo a godere della primavera e dell’autunno. È la legge! Quest’anno son care le patate: quest’altr’anno saran cari i fagiuoli. È la legge. Concepito il mondo così, ogni cosa procede liscia. Nemmeno il progresso e le scoperte della scienza turbano la fantasia, e un vecchio settantenne può sinceramente lodare il presente in confronto del suo passato. Automobili, tram, biciclette trascorrono davanti agli occhi del signor Petronio lasciandolo pago, quasi ci avesse avuto la sua parte a inventarli. Pacifico, egli ragiona: — si è sempre detto che in China la macchina a vapore esisteva mille anni prima che da noi; e chi vi dice che non ci esistessero anche i tramvai o gli aeroplani? E viaggeremo tutti per aria e gli aeroplani saran così fitti che succederanno scontri e disgrazie, e si buscheranno malattie come a viaggiare in terra, tali e quali. Ma, pur troppo, torneranno i giorni della barbarie, e i nipoti dei miei nipoti, poverini, patiranno come me quand’ero ragazzo, che pigliavo scapaccioni per paga se aiutavo qualche soldato «dal becco di legno» a levar la ruggine dal fucile. È questione di buon senso: è la legge. — Infine, quando tutti concepissero il mondo così, ci sarebbero meno birbanti, ricchi e poveri, e meno scioperi: per l’armonia politica non si avrebbero tanti senatori o deputati sempre pronti con i loro tromboni o i loro argomenti e le loro grida a fracassarsi la testa da cari colleghi; e per l’armonia famigliare non si contenterebbero tante stonature e tanti corni e scorni e suicidi in due. Ad esempio, voi, con una donna quale la moglie del signor Petronio, vi sareste affogato nel fiume per liberarvene! Tutto il santo giorno: — Petronio, ho male qui; Petronio ho male qua —; quasi un filosofo avesse obbligo di esser medico e quasi i medici possedessero l’arte di guarire un male qui e un male qua! Lui invece esorta la sua signora a rassegnarsi, a gettar nel pozzo quella morfina maledetta che le fa far tante smorfie, contorsioni e sussulti, a bere vin buono e a sorbir aria fresca, insieme con suo marito che d’inverno spalanca finestra e bocca appena giorno perchè il freddo gli ammazzi tutti i microbi nella camera, nello stomaco, e magari sul naso. Ma son vani consigli; nè giova ripetere, per consolarla: — È una ruota, Càrola; una ruota che gira. Una volta tutte le donne avevano il convulso: adesso han l’isterismo... (La signora Càrola è sui settanta anche lei)... Una volta non c’era altro rimedio che l’_Aceto dei sette ladri_; adesso, la morfina. Ma non dubitate che si tornerà all’aceto e al convulso: soltanto, ladrerie e donne saran sempre quelle! *** A proposito della signora Càrola la biografia del signor Petronio contiene un aneddoto che rivela l’uomo e nell’uomo rivela insieme il buon marito e il pensatore profondo. Ma bisogna, per questo, risalire a diciassette o diciott’anni or sono, quando il mondo pareva aggravato dalla guerra giapponese cinese. I medici — i quali san leggere ma non capiscon nulla — consigliavano l’inferma signora Càrola a distrarsi; e un giorno che il marito doveva andare a Bazzano per contrattare, là presso, una partita di granturco, dàlli dàlli, riuscì a caricare la moglie in treno e a distrarla dal finestrino con lo spettacolo della campagna ancora estiva e dei casolari e dei villaggi pieni di gente allegra. Arrivati che furono, entrarono in paese. Lei si abbandonò su di una seggiola del caffè, e fra un sorso e l’altro di vermouth cominciò a sbigottir la caffettiera con le smorfie, le scosse e la storia dei suoi malanni. Egli intanto prese la via del monte; giunse in mezz’ora alla cascina, e in quattro e quattro otto s’accordò col venditore. Una bottiglia di lambrusco aiuta ad appianar gli affari non meno che un giro di ruota a comprender l’universo. Di ritorno, il signor Petronio non pensava più affatto al frumentone; e il suo sguardo navigava inconscio nella gran luce del pomeriggio, che avvolgeva la terra e infondeva sin nelle pietre un calore di vita gioiosa e feconda. Sebbene non ci fosse ombra di bosco e la strada polverosa, ardente e deserta difilasse aliena da frescura di fonte o da soavità di rivo, un poeta avrebbe scorte chi sa quante amadriadri e ninfe a tentarlo procaci e scappargli via proterve. Il signor Petronio se ne veniva lemme lemme, catelon catelone, non badando neppure ai piccoli ciottoli in mezzo al suo cammino. Sorrideva a sè medesimo, intanto che a ogni curva o svolta l’ombrello perdeva la direzione del sole e, inutilmente aperto, lasciava riscaldare nel cranio sottoposto il buon senso della filosofia. Quand’ecco, alle prime case di Bazzano, sbucare l’amico Mascarella, sensale anche lui, ma di bestie bovine. — Oh! quel Petronio! — Oh Mascarella!, amato mio bene! — Venite a Bologna? — Pronti! E s’accompagnarono. — Come van gli affari? — domandò il signor Petronio, giocondo e rosso più del solito. — Male! siam giù! — E la guerra? — Che guerra? — Là, in China! Non sapete? Mascarella, infatti, sapeva leggere. — A me — rispose — a me la guerra in quel paese non mi fa nè caldo nè freddo. In America la vorrei... — Non vi fa concorrenza, a voialtri, la China? In quel punto un paesano chiamò, per due parole, Mascarella. Quando venne, rispose: — Che concorrenza volete ci facciano i Chinesi? A quel che si legge, mangiano i cani, e gli uomini, da loro, servon da tiro. Vi mettereste a sensale, voi, da cani e da cristiani? — Maomettani, direte: son d’un’altra fede. — Sian di Maometto o sian del diavolo, son razza di cani. Dunque..., che gusto matto grapparli per il codino e dondolarli come zucche! Il signor Petronio disapprovava, evidentemente. Ma in quel punto l’amico entrò dal tabaccaio e vi si trattenne un po’ a discorrere. Riprendendo il cammino, riprese il signor Petronio: — Vorreste ammazzarli tutti quanti? — Chi? — I Chinesi. — Tutti! Far del largo, anche per voi! Se laggiù non ci nascesse più frumento, riso o fagioli, voi diventereste milionario! — E qui, dopo? A mandar la roba là, ci mancherebbe a noi. Bell’interesse! Non capite che è una ruota? Abbondanza là, carestia qui: abbondanza qui, carestia là. Invece di far la guerra, per questo, sarebbe meglio venir a patti; contrattare. — Quanto domandate, voi Chinesi, per lasciarci coltivare il riso anche a noi, Italiani, Inglesi o Russi? — Tanto! — Vi diam tanto; e parola da galantuomini. Una stretta di mano, senza protocolli; e _amen_! — Ma la guerra non si fa per questo, per guadagnare. — Perchè allora? — Per la civiltà. Il signor Petronio non attendeva altra risposta. Cominciò tranquillamente l’esposizione del suo sistema, la spiegazione della legge civile, umana, mondiale, divina. Ad ascoltarlo, strada facendo, si aggiunse un bazzanese, che andava egli pure alla stazione, per venire a Bologna, e poichè il filosofo s’arrestava di frequente chiedendo: — È chiaro? — Capite? — La vedete come me, voi due? —, fu necessario, a non perdere il treno, prendere una scorciatoia. Arrivarono in tempo alla stazione. Ma dove intendeva giungere il signor Petronio con la sua ruota che gira? Nient’altro che alla pace universale! Il sensale Mascarella e il Bazzanese, che sapevan leggere, interrompevano, però; interloquivano a lungo, con le loro ragioni e bestialità. Sicchè dopo un’ora e mezza di viaggio, arrivando a Bologna, il filosofo non era riuscito a persuaderli di altro che della pace in China e solo per evitare, nell’avvenire, un’invasione di Chinesi in Europa, in Italia, a Bologna, a Bazzano, in mercato, forse, a rubar bovini maschi e femmine. Ed ecco che, appena fermo il treno, si ode gridare da ogni parte: — La pace! la pace! Ultimi telegrammi! Notizie della pace! Telegrammi dalla China! Subito il signor Petronio comperò due o tre giornali; felice come se avesse imparato a leggere in quel punto. Poi discese, e disceso che fu, si volse a guardar nel sedile del vagone e su, alla reticella. Nonostante il gaudio, gli pareva d’essersi dimenticato qualche cosa. Ma l’ombrellino l’aveva: sotto il braccio. E la pace era fatta! Fuori della tettoia, Mascarella, che era già convinto nella chiaroveggenza del filosofo, domandò: — Venite a desinar con me, Petronio? Leggeremo i fogli. Allora il filosofo ebbe una luce attraverso il cervello. — E la mia donna? — esclamò. ... Povera Càrola, che l’aspettava ancora nel caffè a Bazzano, con tutti i mali addosso e senza morfina in tasca! *** Eppure questo buon Petronio, forse per il naso più che per il resto, dispiacque un giorno a uno sconosciuto che capitò al caffè e che l’ascoltò un pezzo in silenzio, eppoi l’investì arrabbiato come una bestia. Inutile dire che era un altro filosofo. Disse, gridò: — Ah lei vede tutto chiaro, tutto semplice, tutto spiccio? E lei mi risponda, con la sua ruota: perchè si nasce, perchè si muore? Mistero! Di dove veniamo, dove andiamo? Mistero! Perchè non c’è male senza bene e bene senza male? Mistero! Perchè la coscienza ci dirige e dove ci dirige? Mistero! Se la morte è un male perchè ci è data e se la vita è un bene perchè ci è tolta? Mistero! Perchè l’uomo fu sempre infelice, insaziabile del vero, instancabile a progredire e a che fine? Mistero! Il signor Petronio sorrideva zitto e quieto quasi pensasse: Qual’è il sistema filosofico che non incontra e trascura le piccole difficoltà? Ma l’altro filosofo proseguì sempre più torvo e più violento: — Bando alla sua ruota! e risponda! Perchè tutta la materia è in moto? Mistero! Perchè il feto sviluppandosi nell’alvo passa per tutti i gradi e tutte le forme dell’evoluzione animale? Mistero! Che cosa è l’etere? la luce? Perchè la telepatia? Quale l’essenza della vita? Che cosa è il sonno? la morte? l’enorme mister dell’infinito? In una parola, che cosa è il mondo? Il signor Petronio aveva ascoltato tutt’orecchi (che orecchie!) e sorridendo; e alla fine della sparata non si scompose. Si grattò a pena a pena il naso, s’alzò pacifico più che mai e con la gran semplicità del suo buon senso, del suo cuore e della sua eloquenza, rinunziando una volta tanto alla sua ruota, rispose: — Ce la spiego io, in due parole, la questione. Dalla vita alla morte, e anche dopo la morte, il mondo è tutto un imbroglio!